Anche in questo caso il tono era tecnico, com’era giusto che fosse per convincere un agente, un editore, un potenziale sponsor a finanziare, pubblicare, proporre un libro. Ma non devo essere risultato convincente, non del tutto almeno. L’idea piaceva, era giudicata interessante, divertente, curiosa. Ma c’era sempre un ma, un potenziale equivoco. C’era chi voleva caricare le immagini di valenza erotica. E chi invece temeva critiche del politicamente corretto imperante, considerando quelle foto come l’ennesima “mercificazione” del corpo femminile. Chi pensava al libro come un raffinatissimo coffe-table book, e quindi altrettanto costoso. E chi invece lo voleva allineare a collane – oggi, a quanto sembra, di successo – che raccontano tutto sugli organi sessuali, maschili e femminili. Questo libro, invece, voleva essere qualcosa di più semplice e, al tempo stesso, meno banale. Il che spiega il nome di quella mostra fotografica realizzata da Maria Paola: “Sono solo seni?”. Un gioco di parole che funziona bene come titolo, ma che dà soprattutto il senso del lavoro che intanto lei continuava a portare avanti. Talmente bene che alla fine l’idea del libro era diventata reale. «Sei pronto?» mi telefonò una mattina troppo presto. «Per cosa?». «Il libro si fa. Devi scrivere l’introduzione, fare le didascalie…». Già, le didascalie: nel frattempo io me n’ero completamente scordato. Nel progetto erano definite così: “Valgono a commentare, definire un contesto, offrire un pretesto di riflessione o di divertimento”. Un’idea divertente, in effetti, peccato si fosse rivelata meno semplice del previsto: il seno, evidentemente, è tema poco evocativo in termini culturali. Scarso successo avevano avuto anche le ricerche in rete: col termine seno si scoprono esclusivamente siti a carattere medico, alle voce tette, invece, si apre il fronte del |
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